giovedì 9 settembre 2010

Magistrati ignoranti di Lingua Italiana

Un po' vecchiotto come articolo, ma rende l'idea di ciò che mi ha spinto a creare questo blog!

08/gennaio/2008
L’Italia sarà anche paese di santi, poeti e marinai, ma non è di certo il paese dei magistrati e men che meno di grandi scrittori. L’ultimo concorso per magistrati del nostro paese ne è un fulgido esempio: errori di grammatica, strafalcioni di ortografia, l’ignoranza e l’impreparazione contenuta nei 4 mila compiti consegnati lo scorso novembre hanno impedito agli esaminatori di assegnare tutte le toghe disponibili. Su 380 posti ne sono stati coperti solo 322.
Se già il fato che il 90% dei candidati  sia stato respinto è sconfortante, il dato più tragico è relativo alla tipologia di errori riscontrati nei compiti. Ciò che ha choccato gli esaminatori non è tanto l’ignoranza dimostrata dai candidati sulla materia trattata, quanto l’incapacità di scrivere in un linguaggio corretto. “La conoscenza dell’italiano  è una precondizione per partecipare al concorso, ma alcuni candidati non ce l’avevano” : sono le parole di Matteo Frasca, giudice di corte d’appello a Palermo. Ed aggiunge “Se il mio maestro delle elementari avesse visto in un mio compito verbi coniugati come in certe prove che ci sono state consegnate, mi avrebbe dato una bacchettata sulle dita".E se pensiamo che gli aspiranti magistrati che hanno preso parte al concorso erano tutti laureati ed in molti casi già avvocati, giudici onorari, funzionari della pubblica amministrazione, o studiosi con tanto di dottorato ci rendiamo conto della gravità dell’accaduto.
Fino a ieri sembrava che le leggi sulla privacy impedissero la pubblicazione degli errori. Ma qualche strafalcione è già trapelato: moltissimi gli “essere” e “avere” scritti senza accento, tanti gli “un” dotati di apostrofo anche per i nomi maschili, per non parlare del candidato che ha scritto riscuotere con la “q”,di quello che ha scritto “Corte dell'Aiax”, invece di “Corte dell’Aja, o di chi si è lasciato andare ad espressioni non propriamente giuridiche come “Finché la barca va” o “Per fare un albero ci vuole un fiore”.
Si attende con ansia il “bestiario” che raccolga gli errori più strani e ci faccia ridere, per non piangere, sull’ignoranza dei laureati in Giurisprudenza prodotti dall’Università Italiana.

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